SHORT STORIES

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L'ANIMA DI MEKNES  (MAROCCO)

 

Curiosando senza meta nel dedalo di viuzze strette e affollate della Medina di Meknes, mi sono ritrovato di fronte a un piccolo negozio di antiquariato, quasi nascosto tra gli altri. L'insegna in legno, scolorita dal tempo, e le vetrine polverose sembravano raccontare storie di epoche passate. Come attratto da una forza invisibile, ho varcato la soglia.

Mohammed, il proprietario, mi ha accolto con un sorriso caloroso e un gesto della mano che mi invitava ad entrare. L'uomo, sulla cinquantina, aveva modi gentili e un viso che parlava di saggezza e quiete. Con un po' di francese e il suo italiano stentato, abbiamo iniziato una conversazione che si è subito trasformata in un piacevole scambio. Mi ha mostrato il libro delle dediche: pagine e pagine di pensieri, ringraziamenti e piccoli disegni lasciati dai visitatori di tutto il mondo. Ogni parola sembrava un frammento di vita che aveva attraversato quel luogo.

Mohammed si muoveva con una grazia quasi teatrale, parlando delle opere d'arte che riempivano il negozio. Dagli argenti antichi ai tappeti ricamati a mano, tutto sembrava raccontare storie di viaggi, mani laboriose e tradizioni tramandate. Era evidente che l'arte e la bellezza fossero la sua più grande passione.

Mi ha invitato a sedermi insieme a lui su morbidi cuscini appoggiati al pavimento, circondati da tappeti dai colori vivi e intensi. Al centro della stanza, una vecchia teiera di metallo sbuffava delicatamente sopra un piccolo fornello, riempiendo l'aria di un aroma dolce e speziato. Con tutta l'ospitalità tipica marocchina, Mohammed mi ha offerto un bicchiere di tè alla menta. La cerimonia del tè, lenta e rituale, sembrava dilatare il tempo. Ogni sorso era un invito a immergersi in quell'atmosfera sospesa, dove il passato e il presente si incontravano.

Parlando, abbiamo condiviso ricordi e impressioni di viaggi, raccontato di persone incontrate lungo il cammino e discusso di Meknes, la sua amata città. Era evidente quanto ne fosse orgoglioso, descrivendone la storia, i mercati e i luoghi nascosti che solo chi ci vive conosce davvero.

Ad un certo punto, Mohammed mi ha fissato con un sorriso timido, quasi esitante, come se stesse per chiedere qualcosa di molto importante. “Puoi farmi un ritratto?” mi ha chiesto, con la timidezza di un bambino che si apre con fiducia. La sua richiesta mi ha colto di sorpresa e, allo stesso tempo, mi ha riempito di gioia. Era come se mi stesse offrendo un dono prezioso: il privilegio di catturare un frammento della sua anima. Ho preso la macchina fotografica e ho iniziato a prepararmi. Mohammed si è sistemato su una sedia simile a un trono, con lo sguardo calmo e sereno, mentre la luce che filtrava da una piccola finestra accarezzava il suo volto. Intorno a lui, gli oggetti del negozio sembravano diventare una cornice naturale, amplificando l’intensità del momento.

Scattare quel ritratto è stato come dipingere con la luce e il cuore. Ogni dettaglio, ogni ombra e ogni linea del suo viso raccontavano una storia. E quando ho mostrato a Mohammed il risultato, i suoi occhi si sono illuminati. Mi ha ringraziato con una semplicità disarmante, come se quel ritratto fosse un tesoro.

Mentre lasciavo il negozio, portavo con me non solo una fotografia, ma anche un ricordo indelebile: quello di un incontro autentico, inaspettato, che mi aveva permesso di scoprire una parte dell’anima di Meknes attraverso gli occhi e le parole di Mohammed.

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HINDU WEDDING  (NEPAL)

 

Thamel è già sveglia, rumorosa, stretta. In mezzo al traffico e ai clacson, la ragazza avanza lentamente. Indossa il rosso del matrimonio indù, il colore che in Nepal segna il passaggio da figlia a moglie.

La sposa cammina accanto a sua madre, passo corto, sguardo basso. Il traffico scorre come sempre, indifferente. L’automobile li aspetta poco più avanti: un confine invisibile tra ciò che è stato e quello che verrà.

Lui le segue a distanza. Non c’è fretta, non c’è esitazione. Solo il tempo necessario per arrivare.

In Nepal il matrimonio è spesso una storia scritta da altri, molto prima di questo momento. Le famiglie cercano, valutano, incrociano destini: casta, fede, stelle, posizione sociale. È un dovere, prima ancora che una scelta.

Io resto fermo sul marciapiede, con la macchina fotografica in mano. Penso che viaggiare serva anche a questo: fermarsi un attimo a guardare come le persone attraversano i passaggi più importanti della loro vita. A volte senza clamore, a volte senza parole. Solo camminando.

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SUNNET  (TURCHIA)

 

Istanbul. 

Il piccolo Adil è in fila dentro la bottega del sarto, aspetta che tocchi a lui. Intorno altri bambini, lo stesso abito chiaro, la stessa agitazione trattenuta. La vestizione richiede tempo come se anche l’attesa facesse parte del rito.  Oggi si celebra il Sunnet, il giorno della circoncisione. In Turchia segna l’ingresso del bambino nella comunità religiosa e arriva tra i due e i quattordici anni. È un passaggio importante, che le famiglie scelgono di celebrare pubblicamente, ciascuna secondo le proprie possibilità. Invitano parenti e amici, in una sala di albergo o in casa, ma sempre con l’idea che sia un momento da ricordare. Fuori, suo padre guarda la strada. Aspetta il carro addobbato che lo porterà in giro per la città insieme agli amici, prima della cerimonia. Ogni tanto controlla l’orologio, poi alza lo sguardo, come se potesse riconoscerlo da lontano.

Adil esce dal sarto vestito da re. Mantello, scettro e sul petto una fascia con scritto Maşallah — che Dio ti benedica. Per un giorno è al centro di tutto. Domani tornerà a essere solo un bambino. Ma oggi no. Oggi Istanbul lo guarda passare.

Il carro partirà e la città gli farà da sfondo.

 

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